C’è un momento preciso in “Dottore, Dottore”, il nuovo singolo di Morto., in cui il peso dell’esistenza sembra franare tutto insieme, senza possibilità di appiglio. È lì che capisci di non trovarti davanti all’ennesimo brano sull’inquietudine personale, ma a qualcosa di più viscerale e coraggioso: il racconto di una crisi identitaria senza anestesia.
Con “Dottore, Dottore” Morto. costruisce un pezzo che rinuncia alla struttura tradizionale per immergersi in un flusso sonoro compatto e stratificato. L’arrangiamento è essenziale, quasi minimalista: il pianoforte guida il brano come un cuore pulsante, mentre una stratificazione di voci – prima intime, poi sempre più collettive – si sovrappone fino a creare un vero e proprio muro di emozioni.
È proprio il coro il vero protagonista emotivo: non un semplice accompagnamento, ma un’entità viva, sofferente, quasi claustrofobica. La scelta di raccogliere le voci dei fan attraverso i social è tanto simbolica quanto potente: “Dottore, Dottore” non è solo una canzone, è un abbraccio disperato tra sconosciuti, un’urgenza condivisa di uscire allo scoperto.
L’urlo corale che squarcia il brano a metà è uno dei momenti più riusciti dell’intero repertorio di Morto.: crudo, disordinato, umano. In quel caos di voci c’è la resa ma anche l’inizio della rinascita. È un gesto artistico che rompe il vetro della fruizione passiva e invita l’ascoltatore a diventare parte attiva del dolore, e quindi della cura.
Tematicamente, Morto. rimane fedele alla sua poetica dark pop: solitudine, disorientamento, la consapevolezza lacerante di aver indossato maschere su maschere fino a perdersi di vista. Ma stavolta c’è una maturità nuova, un’urgenza narrativa che spinge oltre l’esposizione del disagio, per trasformarlo in rito collettivo.
Un’esperienza che lascia il segno, difficile da etichettare, impossibile da ignorare.

CONTATTI