Melty Groove,dentro il battito, fuori dagli schemi

Con “Free Hands”, i Melty Groove creano un linguaggio sonoro che è al tempo stesso intimo e collettivo

Ci sono dischi che si ascoltano con le orecchie, altri che si sentono nella pelle. Free Hands, esordio discografico dei torinesi Melty Groove, appartiene a entrambe le categorie. È un album che pulsa, che respira, che si muove dentro coordinate fluide, rifiutando ogni tentativo di classificazione. Non è solo una raccolta di brani: è un racconto coerente, fatto di scelte precise e sensibilità acuta per le sfumature.

Dal punto di vista tecnico, l’impatto è chiaro fin dalle prime battute: groove solidi e stratificati, armonie ricercate ma mai cerebrali, strutture ritmiche che alternano stabilità e sbandamento. Il trio gioca con la forma canzone spingendola oltre i suoi limiti, senza mai romperla davvero. Il risultato è un flusso musicale elegante e pieno di sorprese, capace di accogliere e mescolare soul, funk, jazz, pop, progressive e sonorità etniche in un corpo solo.

Ma a colpire è soprattutto la visione artistica: Free Hands è un disco che parla di libertà — quella vera, non ideologica — intesa come possibilità di creare senza censure, senza modelli imposti. È un invito a ritrovare la propria voce, e farlo nel modo più naturale possibile: insieme agli altri. Non è un caso che la coralità (esplicita o implicita) sia uno degli elementi ricorrenti dell’album, così come la costruzione di identità attraverso il contrasto e l’ibridazione.

Melty Groove dimostra di avere idee chiare, un’identità forte e una scrittura musicale già matura. Free Hands è un esordio che non chiede permesso. E questo, oggi, è più che raro: è necessario.

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