Jack Scarlett, l’intervista: “Il modo migliore di normalizzare una cosa che dovrebbe essere normale, è non stare a sottolineare niente”

“Discorsi a metà” è descritto come un inno alla vulnerabilità emotiva. Cosa significa per te essere vulnerabili attraverso la musica?

Se si vuole fare vera arte si deve essere trasparenti. Non è semplice come sembra, molte volte non siamo trasparenti e sinceri nemmeno con noi stessi. Diciamo che scrivere canzoni è un po una terapia necessaria, solamente essendo onesti su quello che siamo e proviamo possiamo creare prodotti che arrivano alla gente. I personaggi costruiti non arrivano da nessuna parte.

Il brano è un viaggio emotivo intimo. Come pensi che il pubblico possa relazionarsi con il messaggio del brano?

Spero davvero che possano fare le mie parole come loro. Questa è un po la magia della musica, in quel brano racconto di me stesso, ma se lo ascolta Giovanni, automaticamente racconterà anche di Giovanni. Tutti meritiamo di sentirci capiti e supportati. Non siete soli.

Qual è stata la tua esperienza personale nel trasformare un dolore intimo in un’opera artistica?

È totalmente quello che faccio. Le mie giornate le passo a esaminare il mio dolore. Credo che la mia malinconia sia il tesoro più grande che ho, non lo scambierei con la gioia o con nessun’altro sentimento al mondo. Perché grazie ad esso sono me stesso, è la mia storia, la mia arte nasce dal dolore. Alle persone piace soffrire. Fateci caso, quando siete tristi ascoltate canzoni tristi, per stare ancora peggio. Credo sia perché solo con il dolore ci sentiamo vivi, Umani, sentiamo anche noi di avere sentimenti e di non essere di pietra.

Come descriveresti il tuo stile musicale in “Discorsi a metà” e come si collega con il resto della tua discografia?

Questo brano è un urban emo pop, se dovessimo classificarlo. Ma non mi piace mai chiudermi in etichette, io faccio musica e basta, non voglio essere classificato in generi. Diciamo che i miei brani d’amore sono tutti molto simili come genere, se pensiamo a ‘Niente da invidiare’ o ad ‘Io che vorrei’ seguono molto il filone stilistico di ‘Discorsi a metà’.

Quali aspetti della tua vita personale hai scelto di esplorare in questo brano?

Ho parlato di una persona, il mio ultimo compagno, Vick. Lui penso sia stata la persona che mi ha amato nel modo più vero al mondo. Purtroppo abbiamo vissuto una storia molto tossica. Diciamo che era la persona giusta arrivata al momento sbagliato. Però mi sono fidato di lui, penso sia stata l’Unica volta che io mi sia fidato ciecamente di qualcuno e lui alla fine ha scelto di tradire quella fiducia senza farsi troppi problemi.

In che modo la tua identità come attivista LGBTQ+ ha influenzato la creazione di questo singolo?

Il modo migliore di normalizzare una cosa che dovrebbe essere definita NORMALITÀ da almeno un paio di decenni, è non stare a sottolineare niente. Ho raccontato una storia d’amore gay, come avrebbe fatto un cantante etero. Ne più ne meno.