Eccoci con Il Kele. Il titolo dell’album, “Diritto di vuoto”, è estremamente evocativo. Cosa rappresenta per te questo concetto e come si riflette nei brani del disco?
Il titolo è un gioco di parole che mischia il Vuoto al diritto di voto: credo racconti efficacemente ciò che ho provato ad esprimere nell’album, cioè il diritto che ognuno ha di riconoscere, accettare e comprendere liberamente e senza giudizi il proprio vuoto, i propri momenti di smarrimento, dolore e sofferenza.
Al contempo cerco di unire le prospettive filosofiche occidentali e orientali, trattando il vuoto sia come concetto a tratti angosciante e legato alla riflessione sulla mancanza di senso sia come elemento essenziale e potenziale per la creatività, l’espressione della vita e dell’essere umano.
Nel tuo album affronti tematiche intime e complesse. C’è un brano che consideri particolarmente significativo o che ha avuto un processo creativo più intenso degli altri?
Ogni brano ha avuto un processo creativo unico, essendo nati in periodi di vita e per cause estremamente differenti.
Nonostante questo, noia2 è forse quello in cui mi sono dato più libertà: la possibilità di usare il flusso di coscienza per dire senza filtri cose che sfidano le mie stesse credenze, i moralismi comuni e le opinioni popolari mi ha divertito e decisamente stimolato.
Trovo particolarmente intensi due brani sapere:credere, che è il brano per scrittura più intricato del disco ma che mi rappresenta più degli altri intellettualmente e Angoscia, che è il pezzo più brutale, disperato e profondo dell’album, ispirato da alcuni passi dell’opera “Was ist Metaphysik?” di Martin Heidegger.
Il sound di “Diritto di vuoto” sembra mescolare diverse influenze. Quali sono state le tue principali ispirazioni musicali e artistiche durante la realizzazione dell’album?
Il sound di “Diritto di Vuoto” rappresenta il mio intero approccio alla musica: mi annoio a suonare o ad ascoltare un solo genere.
Negli anni ho suonato come cantante e chitarrista in decine di progetti che hanno mischiato hip hop, punk, alternative rock, metal, dnb, dubstep, reggae ed era inevitabile che portassi con me buona parte di queste esperienze.
Il rap quindi per me rimane il filo conduttore del disco, il mezzo che meglio mi aiuta ad esprimere me stesso, ma si stende di volta in volta su tappeti che spaziano tra generi anche molto distanti tra di loro, sulla falsariga di artisti come Caparezza o Elio e le Storie Tese.
Le penne che mi hanno influenzato maggiormente, oltre ai sopracitati, sono Zach de la Rocha dei Rage Against the Machine, Fat Mike dei NOFX, Francesco Guccini, Mecna, Billie Joe Armstrong dei Green Day, Ghemon, Ensi, Giorgio Gaber.
Dal punto di vista della produzione e della scrittura, qual è stata la sfida più grande che hai affrontato nel realizzare questo disco?
La sfida è stata mantenere una linea riconoscibile e coerente nonostante la diversità di generi, senza sacrificare il messaggio dell’album.
Questa sfida è stata raccolta anche da Alex Moro, il mio producer, che con i suoi arrangiamenti ha valorizzato la musica che ho composto dando un senso di coesione a un disco di per sé molto vario.
Se dovessi descrivere “Diritto di vuoto” con un’immagine o una sensazione, quale sarebbe e perché?
Il senso di liberazione nella sua accezione più ampia ma anche la sensazione di avere il permesso di poter ascoltare, accogliere ed esprimere ogni parte di sé senza giudicarla.

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