Intervista a Cronico


Oggi incontriamo un artista che, con il suo nuovo singolo Battisti, ci accompagna in un viaggio emotivo dove nostalgia e cambiamento si intrecciano tra memoria e ricerca di sé. Distribuito da Sony Music, questo brano rappresenta un momento di svolta tanto nella crescita personale quanto in quella artistica, raccontando con parole semplici ma intense il delicato equilibrio tra il lasciar andare e il desiderio di trattenere. In questa intervista esploreremo le ispirazioni, le sfide e i retroscena che hanno dato vita a Battisti, scoprendo insieme come la musica possa diventare lo specchio di una trasformazione interiore universale. Buona lettura!

Intervista per “La Casa della musica emergente”

  1. Il tuo singolo “Battisti” affronta temi universali come la nostalgia e il cambiamento. Quali sono state le sfide principali nel tradurre queste sensazioni in musica?

Quando ho scritto “Battisti”, mi sono trovato a dover affrontare il compito difficile di tradurre in musica qualcosa che tutti sentiamo, ma che è difficile da esprimere a parole: la nostalgia e il cambiamento. La nostalgia per qualcosa che non c’è più, per un amore, un momento, una parte di noi che non possiamo più riprendere. E il cambiamento, che ci porta a rivedere ciò che eravamo, ma spesso senza darci il tempo di metabolizzare il dolore o l’accettazione.

Le sfide più grandi sono state forse quelle di restituire questa sensazione di “perdita” senza farla sembrare una tristezza fine a se stessa. Volevo che la musica potesse evocare quel sentimento di malinconia, ma anche di speranza, che si prova quando si guarda indietro e si cerca di fare pace con ciò che è stato. Il tema del tempo che scorre, della memoria che ci segue come un fantasma, ma anche di quel bisogno di vivere nel presente, senza dimenticare, ma cercando di andare avanti. La frase “e sulla porta di casa vedrò la tua sagoma, ma non sarai tu” è un po’ l’essenza di tutto questo: vediamo ancora qualcosa che ci appartiene, ma sappiamo che è cambiato.

La parte più difficile è stata non cadere nel cliché, non rendere tutto troppo pesante o melenso. È facile farlo quando si parla di temi come l’amore e la perdita, ma volevo che le immagini che usavo — come il telefono che illumina la stanza, o la promessa di dimenticare — fossero il più concrete e quotidiane possibile. La vita continua, anche con i suoi disastri, eppure c’è sempre quel piccolo spazio di riflessione, di domanda. Cosa ci resta alla fine?

La sfida è stata anche nel trovare il giusto equilibrio musicale. Non volevo che la canzone fosse solo triste, ma che avesse un’energia che, pur nella sofferenza, ci spingesse a continuare a vivere. La melodia doveva avere quella stessa tensione tra il passato e il presente, tra il ricordo e la realtà che stavo cercando di raccontare.

In qualche modo, la canzone parla di me, ma parla anche di tutti. Perché alla fine, chi non ha avuto un momento in cui ha voluto fermare il tempo o ha guardato un ricordo e ha pensato “forse non sono pronto a lasciarlo andare”?

Alla fine, ho scritto “Battisti” per ricordarmi che i ricordi rimangono, che il cambiamento è inevitabile, ma che la vita, come viene, viene.

  1. Il brano è un viaggio tra dolore e rinascita: quanto di te stesso credi di aver lasciato tra le righe di questo testo?

Quando scrivo, cerco sempre di mettere una parte di me stesso in quello che faccio, anche se non sempre è facile da individuare per chi ascolta. In “Battisti”, credo che ci sia molto del mio vissuto, ma anche delle esperienze di chiunque possa aver provato quel senso di perdita e di ricerca interiore. Il brano è un viaggio, come dici tu, tra dolore e rinascita, e in questo viaggio ho cercato di essere onesto con le emozioni che ho vissuto, senza cercare di edulcorarle o nasconderle.

C’è una parte di me che emerge nel tentativo di dare senso al cambiamento, di accettare la fine di qualcosa (che sia una relazione, un momento della vita, o un sogno) e nel cercare una nuova direzione. Mi sono spesso trovato a chiedermi cosa mi resta quando qualcosa finisce e come, alla fine, la vita continui comunque a scorrere, anche se a volte sembra che il mondo intorno a te si fermi. In qualche modo, credo di aver messo in questo brano le mie lotte più intime, il bisogno di non rimanere intrappolato in un ricordo, ma allo stesso tempo di non volerlo mai davvero lasciare andare.

Nel testo, c’è anche il lato più fragile di me, quello che cerca di fuggire dal dolore con piccole promesse, come “mi faccio una promessa per dimenticare”, ma che, alla fine, sa che il cambiamento è inevitabile. Ho lasciato tra le righe un po’ di quella sensazione di confusione che proviamo quando le cose non sono più chiare, e un po’ della speranza che, anche quando tutto sembra andare male, ci sia sempre la possibilità di una rinascita, di un nuovo inizio.

Forse, in fondo, la canzone è anche una compromesso tra il bisogno di lasciare andare e quello di voler trattenere. Un po’ di me c’è sicuramente, anche nelle parole più semplici e quotidiane, come “la sigaretta dentro al mio giubbotto” o “il cuore sopra al comodino”. Sono dettagli che forse sembrano insignificanti, ma per me racchiudono tanto di quel desiderio di continuare, di non mollare mai completamente, anche se la strada non è mai chiara.

Insomma, penso che “Battisti” rappresenti, in parte, la mia ricerca di equilibrio tra il passato e il presente, tra il dolore e la speranza, tra il chiudo e l’apro. E in qualche modo, credo che ciò che ho lasciato tra le righe sia proprio quel “lasciar andare”, che è tanto difficile quanto necessario.

  1. “Battisti” è il nome di uno dei pilastri della musica italiana. Come mai hai scelto proprio questo titolo?

Ho scelto il titolo “Battisti” per un motivo che va oltre la semplice ammirazione verso Lucio Battisti, anche se è inevitabile che il suo nome evochi un’immagine di grande musica e poesia. Per me, il nome di Battisti rappresenta qualcosa di più profondo: è simbolo di un certo tipo di emozione universale, che parla di cambiamento, di riflessione sul tempo che passa, di amori perduti e ricordi che non si riescono a lasciare andare. Battisti ha saputo raccontare le contraddizioni della vita in modo unico, con una forza emotiva che ha attraversato decenni e generazioni.

Quando scrivo, cerco sempre di connettermi a un linguaggio emotivo universale, che possa toccare chiunque. E ho scelto questo nome perché, anche se i miei testi non sono strettamente ispirati alla sua musica, voglio che “Battisti” evochi proprio quella sensazione di nostalgia e di ricerca di sé, che attraversano le sue canzoni. Così come lui riusciva a raccontare l’intimità dei suoi sentimenti con parole semplici e melodie indimenticabili, io cerco di fare lo stesso, ma con la mia visione e il mio linguaggio.

Il titolo è anche un modo per portare un po’ di quella magia che c’è nella sua musica, ma rielaborata in un contesto personale e contemporaneo. Voglio che chi ascolta la canzone senta che c’è qualcosa di timido e fragile, ma anche di forte e determinato, come accade nelle canzoni di Battisti, che trattano spesso temi di perdita, solitudine, ma anche di rinascita e di speranza.

In un certo senso, “Battisti” non è solo un omaggio al suo nome, ma una riflessione su come la sua musica e le sue parole abbiano influenzato tutti noi che cerchiamo di raccontare le stesse emozioni, ma con una voce nuova, più nostra. Il nome stesso diventa una sorta di ponte, un legame tra il passato e il presente, tra chi eravamo e chi vogliamo diventare

  1. Spesso, quando si scrive di eventi personali, si corre il rischio di escludere l’ascoltatore. Come hai fatto a mantenere il tuo racconto intimo, ma allo stesso tempo capace di parlare a tutti?

Quando scrivo, il mio obiettivo è sempre quello di mantenere una certa intimità nel racconto, ma senza cadere nell’autoreferenzialità o nell’esclusività. È una sfida, perché un testo che parla troppo a livello personale rischia di alienare l’ascoltatore, che potrebbe non sentirsi coinvolto. Però, allo stesso tempo, un testo troppo generico può perdere quella forza emotiva che rende una canzone unica.

Per me, la chiave è usare immagini universali che, pur partendo da un’esperienza personale, siano in grado di evocare sensazioni comuni. Ho cercato di farlo attraverso piccoli dettagli che, sebbene parlino di me, sono esperienze che ognuno di noi ha vissuto o potrebbe vivere. Ad esempio, quando parlo della sigaretta lasciata nel giubbotto, o del telefono che si illumina, uso oggetti quotidiani che tutti conoscono. Non sono cose straordinarie, ma proprio per questo diventano potenti: chiunque, ascoltando, può immedesimarsi in un momento simile.

In “Battisti”, ad esempio, quando dico “Dimmi cosa ci resta / Se il tempo non passa” o “Mi faccio una promessa per dimenticare”, non è solo la mia riflessione sul passato, ma una domanda che, credo, ognuno di noi si è posto in momenti di transizione o di perdita. Ho cercato di rendere l’intimità del testo più inclusiva, facendo in modo che le emozioni che descrivo non siano solo le mie, ma quelle di tutti. Ho usato frasi aperte, domande universali e scelte linguistiche semplici, che chiunque possa facilmente comprendere e sentire proprie.

In fondo, l’intimità che cerco di trasmettere non riguarda solo il mio vissuto, ma quella sensazione di connessione che possiamo tutti sperimentare nei momenti di incertezza, di cambiamento, di amore e di perdita. Per me, la vera forza della musica sta nel fatto che, pur essendo un’esperienza personale, riesce a toccare qualcosa di più grande, che appartiene a tutti, perché tutti siamo fatti delle stesse emozioni.

Quindi, sì, il mio racconto parte da un’esperienza intima, ma l’ho voluto scrivere in modo tale che chi ascolta possa sentirsi parte della storia, riconoscersi in quei piccoli momenti che, purtroppo o per fortuna, siamo destinati a vivere tutti.

  1. Hai parlato di un’evoluzione continua del tuo stile. In che modo questo singolo rappresenta un nuovo capitolo nella tua discografia?

Battisti” segna sicuramente un nuovo capitolo nella mia discografia, non tanto per un cambiamento radicale, quanto per una maturazione del mio linguaggio musicale e dei temi che voglio esplorare. Rispetto ai miei lavori precedenti, ho cercato di spingermi oltre nella ricerca emotiva e nel modo in cui costruisco il racconto. La canzone non è solo una riflessione personale, ma un viaggio che racconta l’evoluzione di una persona che, pur confrontandosi con la nostalgia e il dolore, non rinuncia alla possibilità di una rinascita.

Un aspetto che trovo nuovo in questo singolo è l’uso di immagini più concrete e quotidiane, come il telefono che vibra o la sigaretta nel giubbotto, elementi che sembrano lontani dalla retorica del dolore, ma che in realtà fanno parte di quella vita quotidiana che tutti condividiamo. Questi piccoli dettagli sono diventati una sorta di strumento narrativo per raccontare la complessità delle emozioni, riuscendo a mescolare una riflessione profonda con una certa leggerezza.

Inoltre, musicalmente, questo brano segna un passo avanti rispetto ai miei lavori precedenti. C’è una maggiore maturità nel suono e nel modo in cui mi approccio agli arrangiamenti. Non ho cercato di forzare nessun genere o di restare ancorato a una sola sonorità, ma di creare qualcosa che fosse fluido, capace di abbracciare diverse influenze, pur mantenendo una forte identità. Il tutto senza però perdere la connessione emotiva che è sempre stata al centro della mia musica.

In sostanza, “Battisti” rappresenta un punto di arrivo di una ricerca continua che non si ferma mai, ma che vuole rimanere autentica, esplorando nuove sonorità e nuove storie senza mai tradire la profondità emotiva che mi contraddistingue. Questo singolo è quindi, per me, un’evoluzione naturale, un modo per raccontarmi oggi, in un momento in cui sono pronto ad affrontare temi ancora più complessi, ma sempre con un approccio sincero e diretto.

  1. La distribuzione Sony Music aggiunge un’importante vetrina: credi che questo passo aiuti gli artisti emergenti a sperimentare di più o introduca nuove responsabilità?

L’ingresso in una distribuzione importante come Sony Music è senza dubbio un passo significativo, e credo che offra entrambe le cose: da un lato, nuove opportunità di sperimentazione e visibilità, dall’altro, anche una serie di responsabilità più grandi.

Da un lato, essere parte di una struttura solida come Sony permette di raggiungere un pubblico più ampio e di accedere a risorse che altrimenti sarebbero difficili da ottenere per un artista emergente. La vetrina internazionale che un’etichetta del genere offre è un’opportunità rara per chi sta cercando di farsi strada, perché consente di farsi conoscere anche fuori dai confini locali. In questo senso, un artista emergente ha sicuramente la possibilità di sperimentare di più sia nel suono che nel contenuto, grazie alle risorse disponibili, come i professionisti della produzione, della promozione e del marketing. Questo può davvero spingere verso nuove direzioni artistiche, magari più audaci o innovative, senza paura di non essere compresi.

Tuttavia, l’ingresso in una grande etichetta introduce anche nuove responsabilità. Con una vetrina più ampia, aumentano anche le aspettative, non solo da parte del pubblico, ma anche dell’etichetta stessa. L’artista si trova di fronte a un mercato più competitivo, dove la pressione di “vendere” e di fare successo può essere più forte. Inoltre, se da un lato la libertà creativa può essere incentivata, dall’altro ci potrebbe essere una spinta verso la commercializzazione di alcune scelte artistiche, per raggiungere un pubblico più ampio. Questo può essere visto come una sorta di compromesso tra creatività e necessità di mercato.

In sostanza, credo che questo passo rappresenti un’opportunità fondamentale per chi vuole crescere artisticamente e raggiungere nuove vette. Ma allo stesso tempo, porta con sé una serie di responsabilità che obbligano a mantenere l’autenticità, pur cercando di navigare in un contesto dove le regole del gioco sono un po’ più complesse. In ogni caso, per un artista emergente, l’importante è saper mantenere il proprio equilibrio creativo, senza perdere la propria identità, anche di fronte a una visibilità maggiore.

  1. C’è un episodio particolare della tua vita, un momento di svolta, che ti ha influenzato profondamente nella scrittura di questo brano?

Sì, c’è sicuramente un episodio che ha avuto un impatto profondo sulla scrittura di “Battisti”. Senza entrare nei dettagli troppo personali, posso dire che si tratta di un momento di grande cambiamento nella mia vita, un periodo in cui mi sono trovato a fare i conti con una parentesi che non riuscivo a lasciar andare e con la necessità di affrontare il futuro, nonostante il peso di quello che era successo. È stato un momento in cui, come spesso accade, ci si sente persi, ma allo stesso tempo inizia a emergere una forza interiore che ti spinge a guardare avanti.

La canzone nasce da quella tensione tra il voler trattenere qualcosa, un ricordo, un sentimento che ci lega al passato, e il bisogno di andare oltre, di non farsi ingabbiare da ciò che non possiamo più cambiare. È come se il titolo stesso, “Battisti”, fosse una sorta di simbolo di un’epoca che non tornerà mai più, ma che ha comunque lasciato un’impronta indelebile, come tutte le cose che abbiamo vissuto.

In quel periodo di cambiamento, ho spesso pensato a come la musica di Lucio Battisti avesse accompagnato molte delle mie riflessioni più intime. Non tanto per il suo stile musicale, quanto per le emozioni che le sue canzoni suscitano: quella nostalgia per il passato, ma anche quella spinta verso una rinascita, verso un futuro che non possiamo mai prevedere, ma che dobbiamo imparare a vivere.

La scrittura di questo brano è stata un modo per mettere ordine a quelle emozioni, per dare voce a quella sensazione di perdita, ma anche a quella di speranza. È come se, in quel momento, stessi cercando di fare pace con me stesso, accettando che certe cose non torneranno, ma che il mio viaggio continua, anche se non so esattamente dove mi porterà.

In definitiva, credo che “Battisti” sia stato un modo per esorcizzare un momento di svolta e, allo stesso tempo, per riconnettermi con una parte di me che, pur cambiando, non smette di essere parte della mia storia.

  1. Guardando al futuro, in che direzione ti piacerebbe portare la tua musica dopo questa nuova uscita?

Guardando al futuro, credo che questa nuova uscita, con “Battisti”, rappresenti per me una sorta di punto di partenza più che di arrivo. Dopo aver esplorato temi come la nostalgia, il cambiamento e la rinascita, sento che ci sono ancora molte direzioni da percorrere, sia dal punto di vista sonoro che tematico.

Musicalmente, mi piacerebbe continuare a sperimentare con nuove sonorità, mescolando influenze diverse, senza perdermi in un unico genere. Mi affascina molto l’idea di creare un sound personale che si arricchisce di nuovi elementi, passando dal pop alla musica elettronica, dal rock a sfumature più intime e acustiche. Voglio continuare a spingere i confini della mia musica, cercando un equilibrio tra ciò che mi rappresenta e ciò che mi emoziona in quel momento. La musica è un campo in continua evoluzione, e voglio permettermi di esplorarlo senza paura di sperimentare.

A livello tematico, mi piacerebbe continuare a raccontare storie, ma non solo quelle legate al vissuto personale. Penso che ci siano tante emozioni universali che vale la pena esplorare, come le relazioni interpersonali, il crescere e il diventare consapevoli di sé. Voglio approfondire anche tematiche più sociali o esistenziali, portando in musica riflessioni che possano risuonare con l’ascoltatore in modo sincero e diretto, ma sempre con la mia prospettiva.

Un altro aspetto su cui mi piacerebbe concentrarmi è il live, ovvero portare la mia musica sul palco in modo sempre più autentico e coinvolgente. La performance dal vivo è per me un momento fondamentale, dove la musica diventa una comunicazione diretta con il pubblico, e credo che da quella connessione possa nascere qualcosa di ancora più grande e potente.

In definitiva, mi piacerebbe che la mia musica crescesse in modo naturale, senza forzature, ma restando sempre fedele a me stesso. Vedo il futuro come un’opportunità per approfondire ciò che mi emoziona, continuando a esplorare la mia crescita personale e artistica, con la speranza che il pubblico possa sentirsi sempre più coinvolto e vicino al mio percorso.

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